lunedì 11 dicembre 2017

My road to Iditarod: - 75 giorni alla partenza: addomesticare il rinoceronte impazzito




Prepararsi per un Artic Winter Race è un lavoro immane. Accanto alla preparazione fisica infatti bisogna studiare ogni singolo dettaglio relativo al vestiario, all'alimentazione, all'equipaggiamento (sono 3 liste diverse e integrate) e a tutto ciò che ci servirà in quei giorni e notti di totale e assoluta solitudine in mezzo alla selvaggia Alaska. Ecco il vero problema è proprio questo: chiedersi ogni giorno cos'è fondamentale mettere in quell'enorme borsa che mi accompagnerà per gli oltre 200km nel gelo dell'inverno polare? Anzi: la domanda così è mal posta. Perché il vero problema è decidere che cosa lasciare a casa. Perché quel borsone deve sì contenere l'essenziale, ma non deve essere troppo pesante perché sarebbe impossibile trascinarselo dietro per tutti quei chilometri.
E allora tutti i giorni - più volte al giorno - mi chiedo: cosa metto, cosa tolgo? Un detto inglese recita "alla fine si finisce sempre di mettere nello zaino le nostre paure". E di paure nell'affrontare il gelo più assoluto ce ne sono moltissime. Paura del freddo tridimensionale (si calcola su tre assi: temperatura, ore continuate di esposizione e notti insonni), paura di non avere abbastanza cibo, paura di non riuscire ad accendere il fornelletto per sciogliere la neve e riuscire così ad avere acqua, paura di non riuscire ad evitare eventuali "overflow" (acqua che sale sopra la superficie ghiacciata e che, coperta da uno strato di neve, crea delle trappole mortali)…  In quella slitta che trascinerò per oltre 200km c'è tutta la mia vita e la voglia di riempirla all'inverosimile è tanta.
Secondo i miei attuali calcoli il borsone nella slitta peserà tra i 20 e i 25 chili, Ma memore delle tre "golden rules" della Marathon des Sables, ovvero 1. Viaggia leggero, 2. Viaggia leggero e 3.





Viaggia leggero cercherò di rimanere vicino ai 20 chili. Chi ha letto il mio resoconto sulla Rovaniemi 150 si ricorda che in quella gara in Lapponia ho lottato per 150km con la slitta che si ribaltava continuamente, causandomi grande dolore e un immensa fatica derivata dagli sforzi per riportarla in posizione. Ecco perché proprio in base all'esperienza dell'anno scorso, questa volta ho deciso di dedicare una gran parte dell'allenamento ad "addomesticare il rinoceronte impazzito" ovvero a cercare di far diventare la slitta una parte di me.




 Le attività da domatore sono state:

1.      Posizionamento dell'equipaggiamento nel borsone. Inizialmente sembra tutto ovvio, le cose più pesanti devono essere posizionate in basso per ottimizzare il baricentro ed evitare che la slitta "scuffi", le cose più pesanti dietro per evitare che la "prua" della slitta si infili nella neve, ma poi questo deve conciliare con avere a portata di mano e quindi vicino all'apertura cose che devono essere prontamente disponibili: guanti pesanti, giacca ulteriore, sovrascarpe, ciaspole, fornelletto, telefono…a voi la scelta in base alle paure soggettive.

 2.      Test in condizioni più estreme di quelle di gara. Questo sembra uno scherzo. Ma in effetti il caricamento ottimale lo sto testando in salite ripide. Le salite sono muscolarmente faticose ma tecnicamente non sono la cosa più difficile nel trainare la slitta. Il vero problema di manovrabilità della slitta è nelle discese! E' proprio nei crinali che viene il bello: tu sei lì che finalmente assapori le gambe leggere del correre in discesa quando all'improvviso la slitta ti supera prima da destra e poi da sinistra e poi si ribalta trascinandoti per terra. Ma è su traversi fortemente inclinati che si affronta il momento più pericoloso perché il peso della slitta rischia di trascinarti su un lato, sua destra o sinistra, giù per il pendio. In questo caso il rischio è davvero enorme perché si è legati alla slitta e se si perde il controllo e la slitta prende il via, con l'accelerazione il peso aumenta trascinandoti con violenza a valle. A questo problema, dopo ore di tentativi e misere figure con me stesso, ho ovviato impugnando un manico del borsone legato sopra la slitta e trascinandolo facendo forza sui ramponcini o sui denti metallici delle ciaspole.

3.      Metodologia per riguadagnare l'assetto. Per capire questo va spiegato che la slitta con sopra il borsone è trainata grazie a due funi di nylon che scorrono dentro due tubi di pvc di circa due metri ciascuno. Alle estremità delle funi ci sono quattro moschettoni, due fissati alla prua della slitta (vedi foto) e due fissati ad un imbrago indossato (formato da una cintura con due bretelle). Questo significa che se la slitta "scuffia", bisogna sganciarsi l'imbrago, sfilarsi le bretelle, adagiare i traini a terra, girarci attorno, arrivare alla slitta, rimetterla in posizione, tornare davanti, re-indossare l'imbrago. Detto così non sembra poi difficile vero? Ma provatelo a fare senza levarvi mai le muffole da spedizione che viste le temperature dell'inverno in Alaska non potete assolutamente mai levarvi. E poi provate a farlo per decine di volte consecutivamente… perché purtroppo potrebbe succedere proprio così in gara (e in effetti è quello che mi è successo alla Rovaniemi 150 quando a causa della presenza di radici e altri ostacoli ho dovuto fare questa operazione per molte volte!

Insomma avete capito che domare il rinoceronte impazzito non è facile e che forse in realtà non ci riuscirò mai a domarlo del tutto. Ma spero almeno di poterlo in   qualche modo controllare, pensando che beh certo!




 È buono il consiglio che mi ha dato Fernanda Maciel (atleta TNF) quando mi ha detto "mi raccomando  parti più leggero che puoi!" Ma forse lei non stava andando in Alaska in inverno...


domenica 26 novembre 2017

Il countdown continua: 85 giorni alla partenza per l'Iditarod

Durante un training in Val Ferret
Predisposizione della slitta da allenamento


Come vi ho già raccontato in un precedente articolo il 20 febbraio parto per l'Alaska per partecipare all'Iditarod Trail Invitational (ITI 130 miglia).

In poche parole l'Iditarod è una gara che attraversa l'Alaska. In origine si poteva fare solo con slitte trainate da cani. Ma da alcuni anni è stata introdotta la modalità "human powered", cioè a piedi o in  Fatbike.

Le gare di questo tipo sono definite Winter Artic Races e hanno come caratteristica principale quelle di essere fatte in totale autonomia. Ovvero non si riceve assistenza di alcun genere.
Avete presente quei favolosi e accoglienti ristori che si trovano nei trail nostrani dove si trova ogni tipo di golosità e spesso anche pasti caldi?
Beh! dimenticateli: lì non ci sono!! Lì - a dire il vero  - c'è solo freddo e natura selvaggia.
Vuoi bere qualcosa di caldo dopo aver corso per chilometri in mezzo alla neve? Non devi far altro che cercare di far funzionare un acciarino per accendere un fornelletto traballante senza mai levarti i guanti pesanti, pena l'amputazione delle dita! E se questo ti sembra troppo complicato e decidi di bere solo acqua fredda? Beh devi fare la stessa cosa! Perché visto che tutto si congela in poco tempo l'unico modo di avere dell'acqua e far funzionare quell'indiavolato fornellino di cui sopra per sciogliere la neve! E vi assicuro che cercare di accendere il fornello con le muffole, stando accovacciati sulle gambe dopo decine/centinaia di chilometri i (quindi a rischio/certezza di crampi) è tutt'altro che banale!

Vuoi dormire? Ti metti il sacco a pelo sul ghiaccio a meno 30 e stai là: sogni d'oro! 

Vuoi mangiare qualcosa di caldo? Beh dai, qui sei fortunato perché in tutto il percorso di oltre 200km ci sono due piccoli lodge (uno oltre il 95°km l'altro oltre il 145Km) che dietro lauto compenso potrebbero darti qualcosa da mangiare se li avvisi prima!

Direte voi, ma almeno come in tutte i trail di oltre 100km ad un certo punto ci sarà una base-vita dove potersi cambiare! No, niente del genere! Ok!! ma la meno all'arrivo vi offriranno un luculliano pasta party? E sì anche questo è interessante! Che cosa attende all'arrivo i runners che hanno corso per oltre 210km nella tundra gelata dell'Alaska? Un posto caldo pronto ad accoglierti? Ma no! Tutto quello che hai è una tenda riscaldata dove aspettare un piccolo aereo che – condizioni meteo permettendo – prima o poi arriverà e ti riporterà indietro ad Anchorage!

Ah dimenticavo! Sapete perché dico sempre che il percorso è di oltre 210km? Perché non il percorso non è mica segnato! Se sei fortunato e non nevica puoi seguire le orme di chi è davanti a te. E se nevica? Vabbè per adesso non ci voglio pensare!
Quindi per affrontare questa gara ci si deve portare dietro tutto l'essenziale. Il che significa che - oltre a correre - si deve trainare una slitta. Facile, direte voi! Beh certo facile per un paio d'ore. Facile se la slitta non avesse un carico di minimo 20 chili! Facile se non si ribaltasse ad ogni minimo dislivello o anche solo ad ogni buca! Ecco allora che il grande lavoro di preparazione riguarda anche che cosa metterci dentro per cercare di ridurre al massimo il peso. Ma come si va a ridurre il peso di fronte all'ipotesi di passare quattro notti in mezzo al selvaggio Alaska, in pieno inverno, a temperature che possono andare oltre i  -40??? Beh ve lo confesso questo ancora non lo so! Quello su cui mi sto concentrando ora è abituare il mio corpo a trainare la slitta trainando alternativamente un copertone o una slitta vera e propria quando sono in montagna. (vedi foto)

Per non dilungarmi evito la descrizione del materiale, anche se questa potrebbe essere la parte più divertente. Ma a questo proposito vi citerò che cosa c'è scritto nel sito della gara in merito al materiale obbligatorio: "se avete bisogno di qualcuno che vi  dica di che cosa avrete bisogno quando sarete in mezzo al nulla di pieno inverno in Alaska, beh! allora state andando nel posto sbagliato".

giovedì 16 novembre 2017

100 giorni alla partenza dell’Iditarod



 


Il 20 febbraio vado in Alaska per partecipare all'Iditarod Trail Invitational (ITI 130). Detta così sembra un classico ultra-trail. Ma ad analizzarla bene la faccenda non è poi così semplice. Primo perché 130 sono la distanza da percorrere in miglia (vale a dire quasi 210km). Poi perché si corre in totale autonomia nell'immensa e selvaggia natura dell'Alaska.E infine perché si gareggia in pieno inverno quando le giornate durano poche ore e le temperature possono raggiungere facilmente i -40.  


ITI130 fa parte di quel particolare circuito di gare "extreme" che va sotto il nome di Arctic Winter Races: ovvero ultra-trail estremi che si svolgono in pieno inverno in zone dell'Artico o del Polo, dove le temperature sono tra le più basse del pianeta. Nel caso dell'Iditarod, si parte da Anchorage, la città più grande dell'Alaska  e prosegue in direzione di Nome, cittadina che si trova a 1000 miglia di distanza e che si affaccia sullo Stretto di Bering.


Per essere ammessi a questa gara bisogna essersi guadagnati sul campo un Curriculum "estremo". Io – ad esempio – sono riuscito ad accedere solo dopo aver fatto la Rovaniemi 150 (link) in Lapponia (Finlandia) nel febbraio 2017. A sua volta per poter accedere alla Rovaniemi avevo dovuto presentare un CV sportivo dove risultavo finisher in gare come UTMB, Marathon des Sable, Diagonal des Fous e altre. A dire il vero, sono ben 10 anni che mi preparo a questa gara. Ho conservato una mail che il mio amico FrankofOld mi inviò nel 2007 in cui mi spiegava cosa bisognava fare per essere ammessi all'Iditarod.

Ma ricordi personali a parte, torniamo al presente dell'Iditarod. Chi decide di partecipare all'Iditarod e più in generale alle Artic Winter Races può gareggiare:

1.)    a piedi (trainando una slitta con tutto il necessario alla sopravvivenza)

2.)    in bici, per essere più precisi con una Fat-Bike, ovvero una bici specifica per neve e ghiaccio, oppure

3.)    con gli sci.
 

Ma si deve dichiarare alla partenza come s'intende gareggiare e non è possibile cambiare durante il percorso. E la scelta – vi assicuro – non è affatto facile perché ognuna di queste tre possibilità ha i suoi vantaggi e svantaggi a seconda delle condizioni meteo (quantità di neve, presenza di ghiaccio, vento) e a seconda del tipo di percorso (dislivello, presenza di fiumi, laghi).


Anche le distanze nell'Iditarod sono diverse:
a.)    la gara più breve è quella da 130 miglia e rappresenta il primo passo per potersi iscrivere alle distanze successive;
b.)    La gara media 350 miglia
c.)    E infine la versione originale, la mitica 1000 miglia. Questa è la versione ha ispirato film e racconti, avendo origina da un fatto di cronaca risalente al 1925, quando a seguito di un epidemia di difterite scoppiata nella città di Nome, un gruppo di volontari partì da Anchorage con le tradizionali slitte trainate dai cani per potere il vaccino necessario. Un'impresa mitica che è rimasta tra le gesta più famose della storia degli Stati Uniti.


Le distanze sono ovviamente puramente indicative perché a differenza dei nostri Trail (sempre balissati e segnati), qui il percorso non è tracciato in alcun modo.
Esiste un punto di Partenza e un punto di Arrivo. E tra questi ci sono dei Check Points intermedi dove bisogna registrare il proprio passaggio. Ma per il resto il percorso viene dettato dalla bussola e dalle condizioni del terreno. E visto che spesso si devono percorrere immensi laghi ghiacciati, vi lascio immaginare quanto può cambiare il tracciato nel caso in cui il giaccio dovesse in qualche modo non essere abbastanza solido…


giovedì 9 novembre 2017

#NeverStopMilano: Training con Fernanda Maciel, atleta The North Face










The Community





La prima volta che ho incontrato Fernanda Maciel http://www.fernandamaciel.es/ , ultra-trailer brasiliana del team The North Face https://www.thenorthface.it/exploration/athletes/fernanda-maciel.html , è stato nel 2015 a Cortina a poche ore dalla partenza della Lavaredo Ultra Trail https://www.ultratrail.it . In quella occasione mi trovai davanti un’atleta super-concentrata, posata e di poche parole. Che, malgrado la tensione pre-gara, mi concesse una bella intervista http://actionmagazine.it/fernanda-maciel-io-mi-alleno-cosi/ e preziosi consigli per me che – come lei – partivo per la stessa gara.
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Quando mi hanno detto che Fernanda sarebbe venuta in Italia in questi giorni, ho chiesto subito di poterla incontrare. Perché in questi anni si è confermata atleta di grande valore che ha continuato a macinare risultati straordinari nei trail: 1° Ultra Trail del Monte Fuji (2016) 3° Marathon des Sable (2016) 3° Lavaredo Ultra Trail (2015 e 2016) solo per citarne alcuni. Ma soprattutto perché è riuscita anche a spaziare oltre il trail e ha stabilire record incredibili come il record di salita e discesa dal Kilimangiaro in 10 ore e 6 minuti (quasi 3 ore in meno del precedente primato) e il record femminile di ascensione e discesa all’Aconagua in 22ore e 52minuti.
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La Fernanda Maciel che mi trovo davanti questa sera a Milano non è solo un atleta fortissima, ben consapevole del suo valore. E’ anche una donna dal sorriso dolce che con premura e generosità risponde alle domande e prodiga consigli.
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> Fernanda dall’ultima volta che ci siamo visti alla LUT non ti sei mai fermata stabilendo record incredibili e raggiungendo dei risultati eccezionali. Qual è tra gli ultimi tuoi successi quello a cui tieni di più?
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Mi piace molto correre i trail. Anzi, diciamo che ne ho bisogno perché è grazie ai trail che riesco ad allenarmi molto duramente. Ma i record sull’Aconagua e il Kilimangiaro sono stati davvero speciali! Sono state imprese stimolanti perché mi hanno costretto a spingermi completamente fuori dalla mia comfort zone
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Nella tua carriera di ultrarunner hai partecipato alle gare più famose come Diagonale des Fous, Marathon des Sables e LUT: quale preferisci?
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Onestamente tutte le gare del Ultra Trail World Tour sono interessanti perché sono lunghe e bellissime. Ho fatto per due volte la Marathon Des Sable, ma mi trovo molto più a mio agio in montagna. E se devo dire proprio qual è la mia preferita direi sicuramente l’UTMB http://utmbmontblanc.com/it/ . Amo l’atmosfera che si respira in montagna, molto di più che il deserto perché in montagna ci si imbatte in paesaggi meravigliosi.  E’ vero però che si riesce ad ammirarli meglio facendo una semplice trekking o un arrampicata piuttosto che in gara!
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Sai già quali sono i tuoi obiettivi per il 2018?
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Ah certo che mi sono già posta gli obiettivi per l’anno prossimo! Tra questi ci sono a Febbraio la Transgrancanaria http://www.transgrancanaria.net/en/ poi a Maggio il campionato del mondo di Penyagolosa http://penyagolosatrails.com e logicamente UTMB. Ma quest’anno non farò nessuna impresa in alta montagna tipo Aconcagua e Kilimangiaro perché devo ancora recuperare dopo questi due record. L’anno prossimo mi concentrerò sulle performance in gare di ultra-trail.
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Fernanda tu hai fatto delle imprese straordinarie nell’Ultra trail e in ambienti estremi, posso chiederti un paio di consigli per noi trail runners e in particolare per me che a Febbraio farò l’Iditarod http://iditarodtrailinvitational.com/ ?
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Dio mio! Non ho mai fatto niente di simile all’Iditarod in vita mia – dice ridendo.  Ma sulla base delle mie esperienze in ambienti estremi posso dirti di usare dell’ottimo materiale e di viaggiare leggero evitando di sovraccaricare il tuo bagaglio. Quando ho corso il Cammino di Santiago (900km circa in 10 giorni) mi sono portata dietro solo uno zaino di 2 chili e quando ho fatto la Marathon Des Sables avevo uno zaino di 7 chili. Ma soprattutto – come ultimo consiglio – cerca di rimanere sempre caldo e ben coperto.
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Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno dopo quando lei allenerà la community di Never Stop Milan https://it-it.facebook.com/NeverStopMilano/ gruppo che s’incontra tutti i martedì e in casi eccezionali come questo il giovedì. Conoscendo Fernanda so che quello sarà un allenamento molto molto tosto.


venerdì 3 novembre 2017

Fernanda Maciel: io mi alleno cosi’ (Cortina d'Ampezzo, 1 luglio 2015)







Max Marta ha intevistato per noi durante la Lavaredo Ultra Trail  la grande Fernanda Maciel. Che ci racconta come si fa a macinare tanti chilometri senza perdere la concentrazione e senza mollare mai.



– Ciao Fernanda, benvenuta a Cortina!
“Grazie…  In realtà sono qui già da un po’ di giorni. Ad allenarmi sul percorso della LUT. L’altro giorno ho fatto la parte che va da Malga Ra Stua a Col Gallina (dal 75km al 95Km). Poi ieri la parte da Col Gallina fino all’arrivo. Anche se conosco già il percorso, ho voluto allenarmi sull’ultima parte di questo tracciato perché amo correre su queste montagne”.
Fernanda, hai vinto già la LUT nel 2011 e sei arrivata seconda nel 2012: deduco che ti piace particolarmente questa gara…
“Io amo la LUT: sì! Purtroppo non sono riuscita ad essere qui l’anno scorso perché in contemporanea c’era il World Championship a Chamonix. Ma mi piace davvero tantissimo questa gara: per cui sono felicissima di essere di nuovo qui quest’anno!”
Che cosa ti affascina di più della LUT?
“Quando corro la LUT, quando mi alleno tra queste montagne, mi guardo in giro e penso: è semplicemente bellissimo! Correre e ammirare le tre Cime di Lavaredo, il Passo Giau. Beh! che panorama stupendo! E poi i cieli delle Dolomiti, quella luce speciale che circonda queste montagne è qualcosa di unico al mondo. Sono così grata a tutti di poter essere qui. E’ davvero un grande regalo poter essere qui”.
Quando corri un ultra Trail cosa fai per mantenerti concentrata?
“Anche se correre è una cosa che mi riempie di gioia, non ti posso negare che anch’io ogni tanto penso “ma chi me l’ha fatto fare?”. Il freddo di notte, i piedi bagnati: sì! È inevitabile avere dei pensieri negativi quando si corre. E’ per questo che oltre ad allenare il fisico dedico grande attenzione ad allenare anche la mente. Se ci pensi quasi il 99% dei pensieri che abbiamo sono negativi o sono relativi a problemi del passato o del futuro. Io alleno la mia mente ad essere sempre solo concentrata sul presente e sulla cosa che sto facendo in quel momento. Ed è così “positiva e presente” che cerco di essere per tutta la gara. Ma è certo che i pensieri negativi arrivano, così come arrivano le brutte sensazioni e i dolori: è naturale. Bisogna accettarli. Se ci pensi, la corsa può essere vista come un’evoluzione del sé, una percorso di crescita della propria persona. Così come non puoi evitare la pioggia e il brutto tempo, non puoi evitare i brutti momenti che ti possono capitare. Ma puoi allenare la tua mente a mantenersi nel presente, a cercare di avere un’energia positiva e ad avere pensieri costruttivi”.
Fernanda, come si allena una campionessa? Tu ti dedichi solo alla corsa in montagna o fai anche altri sport?
“Dedico una grande parte del mio allenamento a migliorare la mia velocità. Ad essere onesta non è che siano i miei allenamenti preferiti: ma il Fartlek o le ripetute veloci aiutano a migliorare la propria tecnica di corsa e quindi ad incrementare la propria velocità.  Purtroppo non corro sempre in montagna. Negli ultimi mesi sono stata in Brasile a casa dei miei genitori, che vivono in una grande metropoli. E mi sono dovuta allenare in una grande città con tutti i problemi che questo implica: il traffico, lo smog, la paura. Ma questa è la città dove sono nata e la amo comunque. Vedi, il punto è che devi trovare sempre qualcosa positivo mentre ti alleni”.
E come gestisce una campionessa come te vita quotidiana e allenamenti?
“Io sono una runner, è vero. Ma sono anche una nutrizionista dello sport e una donna che lavora. Quindi spesso mi alleno la mattina presto, poi vado al lavoro. E in alcuni casi faccio un secondo allenamento nel pomeriggio. Spesso questo secondo allenamento è ciclismo su strada o stretching. Nei weekend invece mi dedico completamente alla corsa, e qui faccio le mie sessioni lunghe, 3 o 4 ore di corsa nella mia comfort zone: questo è l’allenamento che preferisco!”.
Come nutrizionista che consigli puoi darci?
“Penso che la cosa più importante sia essere consapevoli di dove ci si trova. Mi spiego: i cinesi hanno alimenti diversi dai brasiliani, dai giapponesi o dagli italiani. E’ importante prestare sempre attenzione alla cultura del cibo del luogo in cui ci si trova: perché è così che ci si alimenta nel modo più naturale possibile. E se il tuo stomaco è felice, molto probabilmente è felice anche la tua mente! Io credo profondamente nella dieta bilanciata: mangiare un poco di tutto preferendo frutta e verdura, e poi riso e patate che sono alimenti importantissimi: ma se ti piace la carne, mangiala! Per quanto invece riguarda l’alimentazione in gare come gli ultra trail, ci sono due elementi di cui non puoi fare a meno: carboidrati e sali. I primi danno energia e io li consumo a scadenze precise: ad esempio ogni ora oppure ogni 40 minuti. Se non si rispetta questa regola, sio rischia di perdere energia senza quasi accorgersene. Durante le distanze ultra –  visto che si corre per così tante ore – gel e barrette non bastano: c’è bisogno di cibo solido! Per cui è necessario integrare barrette e gel con cibo vero. Per quanto invece riguarda i sali, anche questi sono importantissimi: l’acqua da sola non basta perché bevendo solo acqua si rischia la disidratazione”.
Come cambi la tua dieta prima di gare così lunghe?
“Io non cambio la mia dieta prima della gara: integro la mia alimentazione con maltodestrine. E cerco di preferire i carboidrati alle proteine il giorno prima della gara. Così incremento le mie riserve di energia. Ma non è un cambiamento radicale. La regola deve essere sempre mangiare in modo bilanciato. Ovvero io non faccio il carico di carboidrati come si faceva un po’ di anni fa. Perché si è capito che con il carico di carboidrati si rischia di arrivare alla gara troppo pesanti e troppo pieni d’acqua. Una buona soluzione è aumentare un poco le proteine fino a tre giorni prima della gara, e poi invece aumentare un poco i carboidrati. Ma questa variazione deve essere sempre controllata e bilanciata”.
Qual è il tuo obiettivo del 2015?
“Quest’anno mi sento bene e ho voglia di lottare di più. Questa è la mia prima gara del circuito Ultra Trail World Tour. Poi farò la UTMB  e La Diagonale des Fous. Questa non l’ho mai fatta per cui sono emozionata perché è la prima volta.
UTMB invece l’ho fatta e la conosco, per cui sono felice di tornare e godermi il Monte Bianco: è un luogo magico e speciale per me. Poi farò anche due vertical sky race: la K3 in Val Susa e il Dolomitenmann . Penso che i Vertical siano un buon allenamento, ma se devo essere onesta non li amo particolarmente. La pendenza è così forte che guardi solo per terra e non ti godi il panorama. E poi è così faticoso che non riesci a controllare il respiro: insomma una fatica tremenda. Ma è bellissimo arrivare in cima. E poi è necessario andare oltre la propria comfort zone. E’ un bene e t’insegna molte cose”.
C’è una gara che sogni di fare?
“La Marathon des Sables  e la Hardrock negli Stati Uniti”.


mercoledì 20 settembre 2017

TheNorthFace Mountain Festival 14-17 settembre 2017



La persone hanno bisogno di credere che nel mondo esistono luoghi in cui è possibile stare assieme e divertirsi in modo costruttivo e in armonia con la natura. In fondo la maggior parte delle persone fa sport perché deve in qualche modo scappare dalla vita ordinaria del lavoro e degli impegni…


C’è un luogo magico dove per quattro giorni si riunisce una tribù di ragazzi e ragazze, di tutte le età, provenienti da ogni angolo d’Europa (e non solo) animati da un'unica grande passione: la montagna in ogni sua possibile declinazione (climbing, alpinismo, rafting, trekking ecc..). In questo luogo c’è un grande prato con attorno le montagne splendide di Lauterbrunnen, che si anima poco a poco di tende colorate che diventano sempre di più giorno dopo giorno. Una tribù variegata che dà vita ad uno dei festival in onore della Montagna più belli e partecipati del mondo: TheNorthFace Mountain Festival  che quest’anno ha riunito oltre 800 appassionati di Outdoor provenienti da 29 paesi. 
Per preparare questo evento TheNorthFace lavora tutto l’anno: dal punto di vista organizzativo sicuramente, ma anche soprattutto dal punto di vista di coesione della community. Il brand californiano infatti da alcuni anni organizza nelle principali città del mondo allenamenti settimanali collettivi, completamente gratuiti che vanno sotto il nome di NeverStop e a seguire il nome della città. Sono ormai mesi che mi alleno una volta alla settimana con la tribù milanese dei NeverStopMilan. E questo lavoro si è visto proprio a Lauterbrunnen  dove i partecipanti provenienti dalle varie città europee vestivano fieri le magliette delle loro Communities:, Never Stop London, Never Stop Munchen, Never Stop Berlino.
Da un punto di vista aziendale, si tratta di un’operazione di Marketing azzeccatissima verso tutti gli Stakeholders: clienti, distributori, dipendenti, fornitori, communities locali, atleti professionisti e non, rappresentanti stampa e influencer. Nel momento in cui si organizza un evento “monster” delle dimensioni partecipative del TheNorthFace Mountain Festival si prendono dei rischi, si espone la propria immagine alle valutazioni e alle critiche. L’evento può essere un fallimento, se non si ottiene un grande successo in linea con le alte aspettative dei partecipanti. Per far si che si raggiunga il successo, tutto, ma davvero tutto, deve funzionare alla perfezione, come un orologio svizzero. E Lauterbrunnen, la location svizzera prescelta, era già di per se di buon auspicio. In sintesi, se l’obiettivo era la fidelizzazione e la soddisfazione dei partecipanti, direi che l’obiettivo è stato pienamente raggiunto.
La passione sportiva dei partecipanti è stata pienamente ripagata con attività variegate, ben assortite e di tutti i livelli di preparazione. Attività che poi rendevano orgogliosi i partecipanti per poterle svolgere accanto a super campioni, mostri sacri della Montagna che privi di ogni atteggiamento altezzoso, dispensavano ogni sorta di consiglio in tante lingue con pazienza e sorrisi stampati sulle loro facce gioiose.

Le attività proposte al festival sono state davvero tante. Trail running sui tanti percorsi che offrono le vallate stupende dove a luglio si svolge l’Ultra Trail Eiger (parte dell’Ultra Trail World Tour). Arrampicata sia in falesia che, nel caso di brutto tempo, in indoor. Alpinismo sul meraviglioso ghiacciaio dove si affacciano Eiger, Monch e Jungfrau, con spettacolare salita al Walcherhorn (sei ore piene di gita per i più esperti, tutti con la dovuta garanzia offerta dalle Guide Alpine del luogo). Ma anche altre attività tutte di alto livello: dal corso di fotografia outdoor (dove ho finalmente capito l’importanza di avere in ogni foto un fore-ground, un middle-ground e non solo il back-ground), alla cucina d’avventura, al kayak, al trekking, al canyoning e, dulcis in fundo, al parapendio. Ed è proprio a Lauterbrunnen che l’ultimo giorno in extremis ho avuto il battesimo di volo con il mio primo volo in parapendio! Coadiuvato da un pilota locale (ovvero volo in coppia), dopo essere saliti con la funivia ben oltre la scarpata di 650m che si affacciava sul Campo con le sue spettacolari cascate (se ne contano 72 nella valle di Lauterbrunnen), ci si lancia in un volo che mi ha tolto più volte il fiato. Sensazioni uniche ben oltre le aspettative. Dovutamente documentate nelle foto pubblicate.
Personalmente, oltre al Paragliding della domenica, mi sono cimentato il giovedì in un tiratissimo Trail Running con l’allenatore di Never Stop Chamonix (un inglese trapiantato sulle pendici del Monte Bianco) a cui ho cercato di togliere il fiato in discesa . Il venerdì ho fatto il bis con la gita d’Alpinismo sul Walcherhorn, non solo per i ghiacciai, ma anche per la gita sul trenino a cremagliera che sale nel cuore dell’Eiger e fa le soste permettendo ai turisti di affacciarsi dalle finestre sul ghiacciaio e fotografare da posizioni di dominio altrimenti solo dei top alpinisti e Guide Alpine. Il sabato, ho fatto preoccupare in parete, causa del mio stile incerto a confronto del livello degli altri e del mio impormi sul ruolo di primo a salire, la mitica Caroline Ciavaldini (moglie dell’ugualmente celeberrimo James Pearson): ho promesso che quest’inverno troverò del tempo anche per arrampicare! Mah, non so…sto comunque cercando una palestra di roccia!
Team dei “pro” pienamente partecipe, coinvolgente e coinvolto in tutte le attività, da quelle in cui era “guida” a quelle ricorrenti del “capo” al Party del sabato sera, dove davvero erano parte integrante dei festeggiamenti. I nomi da ricordare sarebbero tanti, ma non possiamo non menzionare oltre a Caroline Ciavaldini e James Pearson, i top Simone Moro, Tamara Lunger, Emilio Previtali (coinvolgente Story-Teller), Lizzy Hawker, David Gottler, i fratelli Pou, la new entry Graziana Pè, Stefano Ghisolfi, Jacopo Larcher, Hansjoerg Auer, 

Appuntamento al prossimo anno, quanti saranno i partecipanti? Dove si incontreranno? Ma si riuscirà a replicare un aumento dei partecipanti come quest’anno?
Tutte cose a cui avremo una risposta restando sintonizzati con TheNorthFace. Ci vediamo a settembre 2018!

Crediti foto Kuerzi e Martafont.



mercoledì 6 settembre 2017

Full disclosure UTMB-CCC 2017


Partenza
Courmayeur
0 m+
venerdì 09:15
00:00:00
-
-
10.27 km
Tête de la Tronche
1435 m+
venerdì 11:39
02:23:50
802
4.3 km/h
14.53 km
Refuge Bertone
1460 m+
venerdì 12:10
02:55:20
775-27
8.1 km/h
21.94 km
Refuge Bonatti
1759 m+
venerdì 13:22
04:07:01
809+34
6.2 km/h
26.99 km
Arnouvaz
1851 m+
venerdì 14:13
04:57:32
792-17
6 km/h
31.47 km
Grand Col Ferret
2605 m+
venerdì 15:52
06:36:42
899+107
2.7 km/h
41.11 km
La Fouly
2803 m+
venerdì 17:01
venerdì 17:07
07:45:42
910+11
8.4 km/h
55.06 km
Champex Lac
3358 m+
venerdì 19:15
venerdì 19:28
09:59:35
933+23
6.3 km/h
66.41 km
La Giète
4220 m+
venerdì 22:17
13:01:40
917-16
3.7 km/h
71.3 km
Trient
4296 m+
venerdì 23:35
venerdì 23:54
14:19:41
963+46
3.8 km/h
74.58 km
Les Tseppes
4976 m+
sabato 01:15
16:00:26
950-13
2 km/h
82.04 km
Vallorcine
5143 m+
sabato 03:03
sabato 03:13
17:48:31
996+46
4.1 km/h
85.78 km
Col des Montets
5332 m+
sabato 04:14
18:58:56
893-103
3.2 km/h
92.9 km
Flégère
6064 m+
sabato 06:50
21:35:19
1005+112
2.7 km/h
100.01 km
Chamonix Arrivée
6127 m+
sabato 08:00
22:45:22
973-32
6.1 km/h

domenica 3 settembre 2017

UTMB - CCC 2017. SFATATA LA MALEDIZIONE DELL'ANNO DISPARI


 




Sull’edizione 2017 del UTMB oramai sapete tutto. Mai un evento di trail running ha avuto una copertura mediatica così estesa e capillare. Mai nessun trail è stato così seguito e commentato sui siti web, social media etc.

E d’altronde non poteva essere altrimenti visto il parterre di campioni che Madame Poletti e il suo team sono riusciti a schierare al via. E di sicuro questa 15° edizione dell'UTMB rimarrà come una pietra miliare nei libri di storia del trail running grazie anche alla spettacolare battaglia tra Kilian Jornet Burgada e Francois D’Haene. Ma come dimenticare la bellissima vittoria di Pica Nurias, il terzo posto dell’americano Tim Tollefson e tutti gli altri podi? Tant’è che mi sento un po’ in imbarazzo a raccontare com’è andata la mia CCC (101km e 6100m di dislivello da Courmayeur-ITA a Champex-SVI a Chamonix-FRA) a confronto di tutti questi “titani” del trail running.

Ma d’altronde una delle cose belle del trail running è  che - così come per la maratona -  dietro quei 20/30 mostri sacri dalle prestazioni incredibili c’è un mondo di persone nomali che mentre Francois D’Haene tagliava il traguardo erano ancora al confine tra l’Italia e la Svizzera 70/60km di distanza da Chamonix!  E UTMB, oltre ad essere il vero ed unico campionato del mondo di Trail, è anche questa folla di gente "comune" che passa anni ad attendere l’estrazione per poter correre sui sentieri meravigliosi che si snodano attorno a Sua Maestà il Monte Bianco.

Io è dal 2008 che corro le varie gare di UTMB e quest'anno ero alla mia 9° edizione. Eppure anche questa volta sulla linea di partenza ero emozionato quasi come la prima volta. Stessa emozione e stessa gioia che mi ha accompagnato lungo tutto il percorso anche se in pratica lo conosco a memoria (tanto da fermarmi a Plan de L'Eau a salutare il cane San Bernardo che ha la sua cuccia lì). Eppure vi confesso che questa gara ogni anno riesce a trasmettermi emozioni uniche che nessun altro trail riesce a darmi! Sarà perché – come dicevo prima – il percorso è unico e spettacolare. Ma anche perché solo qui si ha quella sensazione unica di partecipare al più internazionale, al più sofferto, al più atteso, al più combattuto trail al mondo.

Quest'anno avevo poi una questione personale da risolvere con UTMB. Mi spiego dal 2008  sono stato Finisher tutti gli anni pari (cioè 2008-10-12-14-16) ma mai in un anno dispari!!!! Ben poca cosa direte voi, ma bisogna sempre trovare un buon motivo per convincere il cervello a centrare l'obiettivo! Per cui quest’anno per me l’obiettivo era: portare a casa la Sesta Smanicata (cioè giacca che viene consegnata a Finisher UTMB), ma la prima in un anno dispari!! E così è stato.

La CCC come dice lo stesso nome parte da Courmayer e ha un sistema di partenza che prevede le griglie che partono a 15 minuti di distanza. Io sono partito in seconda griglia dietro Elite. E conoscendo bene il percorso sono partito spedito sui sentieri "di casa' che passano prima per Courmayeur poi salgono verso all'Ermitage per andare verso la prima delle sei grandi salite fino a  Tête de la tranche. Da lì percoso in stile “mangia e bevi” fatto in accelerazione fino al Rifugio Bertone e in questo tratto ho iniziato a passare la coda del gruppo Elite. Stavo andando troppo veloce io o erano loro che andavano piano? Mah nel dubbio ho tenuto il mio ritmo per tutta la meravigliosa 'balconata" che va dal rifugio Bertone fino al rifugio Bonatti.

Qui una piccola pausa e poi veloce verso Arnouva, da dove, traversato il ponticello, parte la seconda impegnativa salita che porta al Gran Col Ferret. Nonostante gli organizzatori avessero previsto freddo, molto freddo, io in vista della mia prossima avventura in Alaska per l’Iditarod 2018 sono partito in smanicata. Perché non si può pensare di affrontare i -30° se ci si spaventa dei  -6/7°. Ma sì sa, la Gran Col Ferret il vento è davvero gelido e visto anche che è iniziato a piovere ho indossato un’altra smanicata impermeabile (quella di “Finisher LUT 2015” per gli intenditori).

Salita al Gran Col Ferret non agevolissima, ma compensata da una bella discesa fino al punto critico della gara: La Fouly, dove tanti, compreso Jim Walmsley (il top Runner che guidava l’UTMB davanti a D’Haene e Kilian fino a quel punto) iniziano a soffrire la fatica

e in molti pensano al ritiro. Lì mi aspetta una bella sorpresa: tra la folla salta fuori inaspettatamente un’amica della Community “Never Stop London” che mi incita a e mi scatta foto.

 

Dopo La Fouly trovo un passaggio obbligato su un tratto di bitume, mal gradito dalle scarpe da trail, ma per fortuna si rientra quasi subito sul percorso usuale che porta alla base della terza salita, quella verso Champex Lac. Piccolo errore di stima della mia velocità ed esco senza lampada frontale, ma da li a poco cala il buio e mi obbliga ad una sosta tecnica non prevista. La frontale, un sofisticatissimo modello programmabile con una APP dallo SmartPhone, si rivela meno Smart del previsto in gara e la luce è ben più fioca di quella di una lampada tradizionale.

 

Dalla salita verso Champex il percorso diventa a causa della pioggia battente un fiume d'acqua e di fango che nasconde sassi e radici e che obbliga i concorrenti (coloro che possono e vogliono) a vari cambi di scarpe. Io no, tiro dritto con le stesse dalla partenza all'arrivo, ma non per masochismo, bensì perché quelle da me scelte hanno avuto una performance eccezionale in termini di grip, comfort e performance generali.

 

Arrivo nella notte a Trient - l’ultima città svizzera del percorso - in modalità “pilota automatico” passando anche la quarta salita (e 4000m di D+ son fatti).  Percorro sempre nel buio della notte la salita di Bovine e arrivo a Vallorcine, punto in cui i runners capiscono che ormai l’arrivo è vicino! Anche qui “sereno” rispondo ancora una volta a chi mi chiede come mi sento. Mangio l’ultimo gel e parto, da qui lo scorso anno ero riuscito a fare fantastica progressione, ma ora il percorso è stato cambiato per evitare Tete au Vent dove come il dice il nome stesso sta soffiando un fortissimo vento. Peccato perché da lì si gode una vista del Monte Bianco veramente unica per la sua bellezza.

Nel percorso alternativo ci si infila in un sentiero non particolarmente bello pieno di sali scendi che pare abbia davvero con l’unico scopo di mantenere inalterati distanza e dislivello. Anche la salita verso La Flegere avviene tramite un percorso che nulla ha di comparabile alla bellezza dell’originale. Lo scorso anno la webcam mi aveva inquadrato che entravo ballando in quest’ultimo check-point, mentre quest’anno mi ha ripreso scocciato per questa percorso alternativo per niente bello. Ma si sa la sicurezza dei partecipanti è sempre al primo posto per gli organizzatori di UTMB per cui ingoio il rospo e mi butto a capofitto verso Chamonix.

L’arrivo, il mio sesto arrivo, è magico come sempre. Anzi no, di più! Non sono nemmeno le 8.00 del mattino ma le strade di Chamonix sono già stracolme di persone che fanno un tifo indiavolato. Campanacci, trombette, urla e mille mani che battono ritmicamente sui cartelloni degli sponsor che sono stati messi sulle transenne che delimitano il precorso verso l’arrivo, rendono questo momento magico. Corro tra ali di folla: so bene che sono lì ad aspettare i campioni dell’UTMB che sono previsti qui a Chamonix attorno all’una del pomeriggio. Ma la cosa magica di questa gara è che il pubblico è già lì pronto a tifare allo stesso modo le stelle del trail e le persone normali come me.

Ps: per chi non lo sapesse all’arrivo dell’UTMB c’è una birra ad attendere tutti i trailers… ma quest’anno la marca era diversa dal solito. Chissà cosa significa?