venerdì 7 settembre 2018

UTMB fino all'ultimo respiro









Mi chiamo Max Marta. Ho 54 anni. E sono affetto da una grave forma di dipendenza. Sono UTMB-dipendente da oltre 10 anni. Ogni maledetto agosto, mi ritrovo a Chamonix. E penso “dall’anno prossimo cambio vita”. Ma so già che sto mentendo a me stesso. Ogni anno ripeto gli stessi gesti con studiata pignoleria. Arrivo e mi metto in fila - quasi sempre sotto la pioggia – assieme ad altre centinaia di persone per ritirare il pettorale di una delle gare che fanno parte di questo incredibile Festival dell’Ultra Trail. Ogni anno gli stessi luoghi, gli stessi rituali, la stessa fila. In questi 10 anni ho visto questa fila allungarsi sempre di più. Ogni anno sempre più gente che preme per entrare. E tutti hanno gli stessi miei occhi spiritati, le stesse mie mani sudate. Non importa se sono cinesi, argentini, australiani, nepalesi. Tutti in questa fila sono identici a me. Tutti con lo zainetto in spalla e il materiale obbligatorio nel borsone. Tutti con un unico pensiero in testa: la loro gara. Loro, come me, sono qui a mendicare la loro razione di sentiero attorno al Monte Bianco.

Non m’importa che si tratti della full-version UTMB (che ho chiuso nel 2016, dopo le versione ridotte per mal tempo del 2010 e del 2012) della TDS (che ho concluso nel 2014), della CCC (finisher nel 2008 e 2017) o – come in questo caso – della OCC 2018 (per il poker)… Mi basta sapere che anche questanno sono qui. Mi basta sapere che ho un pettorale da mettere e uno zaino da preparare. Mi basta sapere che anche quest’anno posso respirare questa atmosfera pazzesca e unica. Attorniato da una folla di uomini e donne il cui unico obiettivo per un lungo fine settimana sarà solo quello di correre, camminare, trascinarsi stremati ai piedi della grande montagna. Uomini e donne che sfideranno sé stessi in una lunghissima cavalcata attraverso boschi e sentieri, scavalleranno frontiere, si arrampicheranno su cime battute dal vento o piene di neve, combattendo contro fatica, sonno, caldo, il freddo e ogni tipo d’intemperie. Tutti con un unico sogno in testa: arrivare a Chamonix.

Non m’importa se conosco ogni centimetro di questo sentiero (non riuscirei nemmeno a elencare quante volte l’ho percorso in gara, in allenamento, per accompagnare amici o semplicemente per starmene un po’ da solo). Non mi chiedo nemmeno più se nevicherà come nel 2010 o se farà caldo tropicale come nel 2016. Ma so che anche questa volta lo stupore e la meraviglia saranno le stesse della prima volta. Perché ogni volta UTMB è emozione allo stato puro. E quest’anno non fa eccezione.
Lo capisco quando stringo tra le mani questo nuovo pettorale numero 11073.


Lo capisco alle 4.00 di notte quando mi ritrovo assieme a centinaia di altri runners pronto per partire verso Orsières dov’è situata la partenza della OCC. La potenza logistica di UTMB si vede anche qui: in questa interminabile fila di autobus che ci porteranno in Svizzera. Quanti sono? Provo a contarli, ma è inutile: sono troppi. Cerco di tirare fuori il foglietto della mia prenotazione, ma non c’è tempo. In un secondo sono già dentro l’autobus, che si riempe in pochi minuti e parte veloce. Sull’autobus c’è il silenzio più assoluto. Eppure se guardo bene nessuno dorme. C’è chi ripassa il percorso. Chi controlla se la frontale funziona. Chi svuota lo zainetto. Chi mangia in continuazione. Non importa quante volte hai già fatto questa gara: l’emozione è sempre lì, a tenerti compagnia senza lasciarti dormire.

Arrivo a Orsières. Mi butto in mezzo alla folla della partenza, stanco per il viaggio, ma felice e pronto per questa nuova avventura. Sì perché le gare di UTMB non sono solo un trail: sono un vero e proprio viaggio interiore. Un viaggio nelle proprie paure e debolezze, Un viaggio in cui ci si perde nella fatica e ci si ritrova nei sorrisi di chi sta soffrendo come te. Chi ti vede col pettorale ti augura “bon courage”, ti abbraccia, ti sorride. Tutti sono lì a sostenerti, ad incitarti. E io so già che nel corso del sentiero troverò anziane signore che suonano la fisarmonica per i runners stremati, imperturbabili suonatori di corno svizzero che attenderanno il passaggio anche dell’ultimo concorrente e una serie infinita di tifosi con campane da mucca e trombette di ogni genere arrampicati nei punti più impervi ed inaccessibili del percorso.
Perché UTMB è proprio questo: una festa collettiva che unisce nell’arco di tre nazioni atleti professionisti, runners comuni e migliaia di tifosi.






UTMB altro non è che la versione 2.0 di quello che nel dopoguerra fu il Giro d’Italia o il Tour de France.  Chi è qui, è sui sentieri a fare il tifo. Chi invece è dovuto rimanere a casa e ha un parente, un amico, un conoscente in gara è perennemente connesso al pc. Ho trovato mamme di amici che sapevano a memoria i cancelli orari e citavano i passaggi in successione: La Fouly, Champex, Trient, Vallorcine, La Flegere… Un po’ come una volta si citavano i grandi passi dove sarebbero transitati i ciclisti. Qui – come negli anni gloriosi del Giro – il pubblico è ai bordi del sentiero a tifare per i grandi campioni come Killian Jornet, Zach Miller, Caroline Chaverot. O per meglio dire come Xavier Thevernard e Francesca Canepa, i vincitori di quest’anno. Ma soprattutto il pubblico è qui per sostenere un fratello, una fidanzata, un papà, una zia che corre. E non importa a che ora arriveranno: loro staranno lì ad aspettarli al freddo, sotto la pioggia per ore. Li riconosci sempre i team di amici e familiari, pronti ad inseguire i loro cari lungo tutto il percorso, saltando sulle navette dell’organizzazione appena il loro “eroe” è passato. Pronti per andare al prossimo ristoro dove rimarranno per altre ore ad aspettarlo. E così fino all’arrivo quando finalmente anche loro scavalcheranno le transenne e correranno al traguardo di Chamonix abbracciati al loro “eroe”. Bisognerebbe dare loro una medaglia: senza di loro i ritirati sarebbero molti, molti di più.

Già i ritirati o DNF come li chiamano le classifiche. Ci sono i grandi campioni che partono troppo veloci e poi li ritrovi barcollanti che non ce la fanno più. Ci sono quelli che si infortunano. Ma ci sono soprattutto le centinaia di “ultimi” in lotta con i cancelli orari. Sono stremati dal gelo della notte, infreddoliti dalla pioggia e dalla neve, fiaccati dai dolori allucinanti alle gambe. Eppure non si fermano. Arrivano al check point a testa bassa e anche se mancano pochi minuti alla chiusura del cancello, vanno avanti. I volontari ei dottori dell’organizzazione bloccano quelli messi peggio. E cercano di convincere gli altri a non proseguire, Sanno bene che non ce la possono fare perché è troppo tardi, perché  troppo stanchi e mancano ancora troppi chilometri. Ma loro non li ascoltano e ripartono lo stesso. Perché se sei qui vuol dire che hai passato gli ultimi anni della tua vita ad allenarti per questo. E non vuoi, non puoi mollare proprio adesso. Malgrado tu stesso sappia che non ce la farai a prendere il prossimo cancello. Bisognerebbe dare anche a questi DNF una medaglia: perché la loro tenacia è davvero unica.







Mi chiamo Max Marta. Ho 54 anni. E sono 10 anni che sono UTMB-dipendente.
Quest’anno sono arrivato al traguardo di Chamonix ancora una volta. Per tante volte ho percorso quel  ultimo chilometro, dove il tifo è assordante e il cuore scoppia di gioia. In questi 10 anni l’emozione non è cambiata anzi! semmai è aumentata. E quando vedo l’arco del traguardo, posso concedermi il lusso di essere felice come un bambino la notte di natale. Dopo quell’arco c’è una smanicata con la scritta finisher e una lattina di birra che mi aspetta e che – come tradizione – mi scolerò tutto d’un fiato sui gradini della chiesa di Chamonix per celebrare questo nuovo traguardo. Mi chiamo Max Marta. Ho 54 anni. E grazie a Dio sono 10 anni che corro l’UTMB.












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