lunedì 11 dicembre 2017

My road to Iditarod: - 75 giorni alla partenza: addomesticare il rinoceronte impazzito




Prepararsi per un Artic Winter Race è un lavoro immane. Accanto alla preparazione fisica infatti bisogna studiare ogni singolo dettaglio relativo al vestiario, all'alimentazione, all'equipaggiamento (sono 3 liste diverse e integrate) e a tutto ciò che ci servirà in quei giorni e notti di totale e assoluta solitudine in mezzo alla selvaggia Alaska. Ecco il vero problema è proprio questo: chiedersi ogni giorno cos'è fondamentale mettere in quell'enorme borsa che mi accompagnerà per gli oltre 200km nel gelo dell'inverno polare? Anzi: la domanda così è mal posta. Perché il vero problema è decidere che cosa lasciare a casa. Perché quel borsone deve sì contenere l'essenziale, ma non deve essere troppo pesante perché sarebbe impossibile trascinarselo dietro per tutti quei chilometri.
E allora tutti i giorni - più volte al giorno - mi chiedo: cosa metto, cosa tolgo? Un detto inglese recita "alla fine si finisce sempre di mettere nello zaino le nostre paure". E di paure nell'affrontare il gelo più assoluto ce ne sono moltissime. Paura del freddo tridimensionale (si calcola su tre assi: temperatura, ore continuate di esposizione e notti insonni), paura di non avere abbastanza cibo, paura di non riuscire ad accendere il fornelletto per sciogliere la neve e riuscire così ad avere acqua, paura di non riuscire ad evitare eventuali "overflow" (acqua che sale sopra la superficie ghiacciata e che, coperta da uno strato di neve, crea delle trappole mortali)…  In quella slitta che trascinerò per oltre 200km c'è tutta la mia vita e la voglia di riempirla all'inverosimile è tanta.
Secondo i miei attuali calcoli il borsone nella slitta peserà tra i 20 e i 25 chili, Ma memore delle tre "golden rules" della Marathon des Sables, ovvero 1. Viaggia leggero, 2. Viaggia leggero e 3.





Viaggia leggero cercherò di rimanere vicino ai 20 chili. Chi ha letto il mio resoconto sulla Rovaniemi 150 si ricorda che in quella gara in Lapponia ho lottato per 150km con la slitta che si ribaltava continuamente, causandomi grande dolore e un immensa fatica derivata dagli sforzi per riportarla in posizione. Ecco perché proprio in base all'esperienza dell'anno scorso, questa volta ho deciso di dedicare una gran parte dell'allenamento ad "addomesticare il rinoceronte impazzito" ovvero a cercare di far diventare la slitta una parte di me.




 Le attività da domatore sono state:

1.      Posizionamento dell'equipaggiamento nel borsone. Inizialmente sembra tutto ovvio, le cose più pesanti devono essere posizionate in basso per ottimizzare il baricentro ed evitare che la slitta "scuffi", le cose più pesanti dietro per evitare che la "prua" della slitta si infili nella neve, ma poi questo deve conciliare con avere a portata di mano e quindi vicino all'apertura cose che devono essere prontamente disponibili: guanti pesanti, giacca ulteriore, sovrascarpe, ciaspole, fornelletto, telefono…a voi la scelta in base alle paure soggettive.

 2.      Test in condizioni più estreme di quelle di gara. Questo sembra uno scherzo. Ma in effetti il caricamento ottimale lo sto testando in salite ripide. Le salite sono muscolarmente faticose ma tecnicamente non sono la cosa più difficile nel trainare la slitta. Il vero problema di manovrabilità della slitta è nelle discese! E' proprio nei crinali che viene il bello: tu sei lì che finalmente assapori le gambe leggere del correre in discesa quando all'improvviso la slitta ti supera prima da destra e poi da sinistra e poi si ribalta trascinandoti per terra. Ma è su traversi fortemente inclinati che si affronta il momento più pericoloso perché il peso della slitta rischia di trascinarti su un lato, sua destra o sinistra, giù per il pendio. In questo caso il rischio è davvero enorme perché si è legati alla slitta e se si perde il controllo e la slitta prende il via, con l'accelerazione il peso aumenta trascinandoti con violenza a valle. A questo problema, dopo ore di tentativi e misere figure con me stesso, ho ovviato impugnando un manico del borsone legato sopra la slitta e trascinandolo facendo forza sui ramponcini o sui denti metallici delle ciaspole.

3.      Metodologia per riguadagnare l'assetto. Per capire questo va spiegato che la slitta con sopra il borsone è trainata grazie a due funi di nylon che scorrono dentro due tubi di pvc di circa due metri ciascuno. Alle estremità delle funi ci sono quattro moschettoni, due fissati alla prua della slitta (vedi foto) e due fissati ad un imbrago indossato (formato da una cintura con due bretelle). Questo significa che se la slitta "scuffia", bisogna sganciarsi l'imbrago, sfilarsi le bretelle, adagiare i traini a terra, girarci attorno, arrivare alla slitta, rimetterla in posizione, tornare davanti, re-indossare l'imbrago. Detto così non sembra poi difficile vero? Ma provatelo a fare senza levarvi mai le muffole da spedizione che viste le temperature dell'inverno in Alaska non potete assolutamente mai levarvi. E poi provate a farlo per decine di volte consecutivamente… perché purtroppo potrebbe succedere proprio così in gara (e in effetti è quello che mi è successo alla Rovaniemi 150 quando a causa della presenza di radici e altri ostacoli ho dovuto fare questa operazione per molte volte!

Insomma avete capito che domare il rinoceronte impazzito non è facile e che forse in realtà non ci riuscirò mai a domarlo del tutto. Ma spero almeno di poterlo in   qualche modo controllare, pensando che beh certo!




 È buono il consiglio che mi ha dato Fernanda Maciel (atleta TNF) quando mi ha detto "mi raccomando  parti più leggero che puoi!" Ma forse lei non stava andando in Alaska in inverno...


domenica 26 novembre 2017

Il countdown continua: 85 giorni alla partenza per l'Iditarod

Durante un training in Val Ferret
Predisposizione della slitta da allenamento


Come vi ho già raccontato in un precedente articolo il 20 febbraio parto per l'Alaska per partecipare all'Iditarod Trail Invitational (ITI 130 miglia).

In poche parole l'Iditarod è una gara che attraversa l'Alaska. In origine si poteva fare solo con slitte trainate da cani. Ma da alcuni anni è stata introdotta la modalità "human powered", cioè a piedi o in  Fatbike.

Le gare di questo tipo sono definite Winter Artic Races e hanno come caratteristica principale quelle di essere fatte in totale autonomia. Ovvero non si riceve assistenza di alcun genere.
Avete presente quei favolosi e accoglienti ristori che si trovano nei trail nostrani dove si trova ogni tipo di golosità e spesso anche pasti caldi?
Beh! dimenticateli: lì non ci sono!! Lì - a dire il vero  - c'è solo freddo e natura selvaggia.
Vuoi bere qualcosa di caldo dopo aver corso per chilometri in mezzo alla neve? Non devi far altro che cercare di far funzionare un acciarino per accendere un fornelletto traballante senza mai levarti i guanti pesanti, pena l'amputazione delle dita! E se questo ti sembra troppo complicato e decidi di bere solo acqua fredda? Beh devi fare la stessa cosa! Perché visto che tutto si congela in poco tempo l'unico modo di avere dell'acqua e far funzionare quell'indiavolato fornellino di cui sopra per sciogliere la neve! E vi assicuro che cercare di accendere il fornello con le muffole, stando accovacciati sulle gambe dopo decine/centinaia di chilometri i (quindi a rischio/certezza di crampi) è tutt'altro che banale!

Vuoi dormire? Ti metti il sacco a pelo sul ghiaccio a meno 30 e stai là: sogni d'oro! 

Vuoi mangiare qualcosa di caldo? Beh dai, qui sei fortunato perché in tutto il percorso di oltre 200km ci sono due piccoli lodge (uno oltre il 95°km l'altro oltre il 145Km) che dietro lauto compenso potrebbero darti qualcosa da mangiare se li avvisi prima!

Direte voi, ma almeno come in tutte i trail di oltre 100km ad un certo punto ci sarà una base-vita dove potersi cambiare! No, niente del genere! Ok!! ma la meno all'arrivo vi offriranno un luculliano pasta party? E sì anche questo è interessante! Che cosa attende all'arrivo i runners che hanno corso per oltre 210km nella tundra gelata dell'Alaska? Un posto caldo pronto ad accoglierti? Ma no! Tutto quello che hai è una tenda riscaldata dove aspettare un piccolo aereo che – condizioni meteo permettendo – prima o poi arriverà e ti riporterà indietro ad Anchorage!

Ah dimenticavo! Sapete perché dico sempre che il percorso è di oltre 210km? Perché non il percorso non è mica segnato! Se sei fortunato e non nevica puoi seguire le orme di chi è davanti a te. E se nevica? Vabbè per adesso non ci voglio pensare!
Quindi per affrontare questa gara ci si deve portare dietro tutto l'essenziale. Il che significa che - oltre a correre - si deve trainare una slitta. Facile, direte voi! Beh certo facile per un paio d'ore. Facile se la slitta non avesse un carico di minimo 20 chili! Facile se non si ribaltasse ad ogni minimo dislivello o anche solo ad ogni buca! Ecco allora che il grande lavoro di preparazione riguarda anche che cosa metterci dentro per cercare di ridurre al massimo il peso. Ma come si va a ridurre il peso di fronte all'ipotesi di passare quattro notti in mezzo al selvaggio Alaska, in pieno inverno, a temperature che possono andare oltre i  -40??? Beh ve lo confesso questo ancora non lo so! Quello su cui mi sto concentrando ora è abituare il mio corpo a trainare la slitta trainando alternativamente un copertone o una slitta vera e propria quando sono in montagna. (vedi foto)

Per non dilungarmi evito la descrizione del materiale, anche se questa potrebbe essere la parte più divertente. Ma a questo proposito vi citerò che cosa c'è scritto nel sito della gara in merito al materiale obbligatorio: "se avete bisogno di qualcuno che vi  dica di che cosa avrete bisogno quando sarete in mezzo al nulla di pieno inverno in Alaska, beh! allora state andando nel posto sbagliato".

giovedì 16 novembre 2017

100 giorni alla partenza dell’Iditarod



 


Il 20 febbraio vado in Alaska per partecipare all'Iditarod Trail Invitational (ITI 130). Detta così sembra un classico ultra-trail. Ma ad analizzarla bene la faccenda non è poi così semplice. Primo perché 130 sono la distanza da percorrere in miglia (vale a dire quasi 210km). Poi perché si corre in totale autonomia nell'immensa e selvaggia natura dell'Alaska.E infine perché si gareggia in pieno inverno quando le giornate durano poche ore e le temperature possono raggiungere facilmente i -40.  


ITI130 fa parte di quel particolare circuito di gare "extreme" che va sotto il nome di Arctic Winter Races: ovvero ultra-trail estremi che si svolgono in pieno inverno in zone dell'Artico o del Polo, dove le temperature sono tra le più basse del pianeta. Nel caso dell'Iditarod, si parte da Anchorage, la città più grande dell'Alaska  e prosegue in direzione di Nome, cittadina che si trova a 1000 miglia di distanza e che si affaccia sullo Stretto di Bering.


Per essere ammessi a questa gara bisogna essersi guadagnati sul campo un Curriculum "estremo". Io – ad esempio – sono riuscito ad accedere solo dopo aver fatto la Rovaniemi 150 (link) in Lapponia (Finlandia) nel febbraio 2017. A sua volta per poter accedere alla Rovaniemi avevo dovuto presentare un CV sportivo dove risultavo finisher in gare come UTMB, Marathon des Sable, Diagonal des Fous e altre. A dire il vero, sono ben 10 anni che mi preparo a questa gara. Ho conservato una mail che il mio amico FrankofOld mi inviò nel 2007 in cui mi spiegava cosa bisognava fare per essere ammessi all'Iditarod.

Ma ricordi personali a parte, torniamo al presente dell'Iditarod. Chi decide di partecipare all'Iditarod e più in generale alle Artic Winter Races può gareggiare:

1.)    a piedi (trainando una slitta con tutto il necessario alla sopravvivenza)

2.)    in bici, per essere più precisi con una Fat-Bike, ovvero una bici specifica per neve e ghiaccio, oppure

3.)    con gli sci.
 

Ma si deve dichiarare alla partenza come s'intende gareggiare e non è possibile cambiare durante il percorso. E la scelta – vi assicuro – non è affatto facile perché ognuna di queste tre possibilità ha i suoi vantaggi e svantaggi a seconda delle condizioni meteo (quantità di neve, presenza di ghiaccio, vento) e a seconda del tipo di percorso (dislivello, presenza di fiumi, laghi).


Anche le distanze nell'Iditarod sono diverse:
a.)    la gara più breve è quella da 130 miglia e rappresenta il primo passo per potersi iscrivere alle distanze successive;
b.)    La gara media 350 miglia
c.)    E infine la versione originale, la mitica 1000 miglia. Questa è la versione ha ispirato film e racconti, avendo origina da un fatto di cronaca risalente al 1925, quando a seguito di un epidemia di difterite scoppiata nella città di Nome, un gruppo di volontari partì da Anchorage con le tradizionali slitte trainate dai cani per potere il vaccino necessario. Un'impresa mitica che è rimasta tra le gesta più famose della storia degli Stati Uniti.


Le distanze sono ovviamente puramente indicative perché a differenza dei nostri Trail (sempre balissati e segnati), qui il percorso non è tracciato in alcun modo.
Esiste un punto di Partenza e un punto di Arrivo. E tra questi ci sono dei Check Points intermedi dove bisogna registrare il proprio passaggio. Ma per il resto il percorso viene dettato dalla bussola e dalle condizioni del terreno. E visto che spesso si devono percorrere immensi laghi ghiacciati, vi lascio immaginare quanto può cambiare il tracciato nel caso in cui il giaccio dovesse in qualche modo non essere abbastanza solido…


giovedì 9 novembre 2017

#NeverStopMilano: Training con Fernanda Maciel, atleta The North Face










The Community





La prima volta che ho incontrato Fernanda Maciel http://www.fernandamaciel.es/ , ultra-trailer brasiliana del team The North Face https://www.thenorthface.it/exploration/athletes/fernanda-maciel.html , è stato nel 2015 a Cortina a poche ore dalla partenza della Lavaredo Ultra Trail https://www.ultratrail.it . In quella occasione mi trovai davanti un’atleta super-concentrata, posata e di poche parole. Che, malgrado la tensione pre-gara, mi concesse una bella intervista http://actionmagazine.it/fernanda-maciel-io-mi-alleno-cosi/ e preziosi consigli per me che – come lei – partivo per la stessa gara.
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Quando mi hanno detto che Fernanda sarebbe venuta in Italia in questi giorni, ho chiesto subito di poterla incontrare. Perché in questi anni si è confermata atleta di grande valore che ha continuato a macinare risultati straordinari nei trail: 1° Ultra Trail del Monte Fuji (2016) 3° Marathon des Sable (2016) 3° Lavaredo Ultra Trail (2015 e 2016) solo per citarne alcuni. Ma soprattutto perché è riuscita anche a spaziare oltre il trail e ha stabilire record incredibili come il record di salita e discesa dal Kilimangiaro in 10 ore e 6 minuti (quasi 3 ore in meno del precedente primato) e il record femminile di ascensione e discesa all’Aconagua in 22ore e 52minuti.
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La Fernanda Maciel che mi trovo davanti questa sera a Milano non è solo un atleta fortissima, ben consapevole del suo valore. E’ anche una donna dal sorriso dolce che con premura e generosità risponde alle domande e prodiga consigli.
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> Fernanda dall’ultima volta che ci siamo visti alla LUT non ti sei mai fermata stabilendo record incredibili e raggiungendo dei risultati eccezionali. Qual è tra gli ultimi tuoi successi quello a cui tieni di più?
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Mi piace molto correre i trail. Anzi, diciamo che ne ho bisogno perché è grazie ai trail che riesco ad allenarmi molto duramente. Ma i record sull’Aconagua e il Kilimangiaro sono stati davvero speciali! Sono state imprese stimolanti perché mi hanno costretto a spingermi completamente fuori dalla mia comfort zone
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Nella tua carriera di ultrarunner hai partecipato alle gare più famose come Diagonale des Fous, Marathon des Sables e LUT: quale preferisci?
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Onestamente tutte le gare del Ultra Trail World Tour sono interessanti perché sono lunghe e bellissime. Ho fatto per due volte la Marathon Des Sable, ma mi trovo molto più a mio agio in montagna. E se devo dire proprio qual è la mia preferita direi sicuramente l’UTMB http://utmbmontblanc.com/it/ . Amo l’atmosfera che si respira in montagna, molto di più che il deserto perché in montagna ci si imbatte in paesaggi meravigliosi.  E’ vero però che si riesce ad ammirarli meglio facendo una semplice trekking o un arrampicata piuttosto che in gara!
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Sai già quali sono i tuoi obiettivi per il 2018?
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Ah certo che mi sono già posta gli obiettivi per l’anno prossimo! Tra questi ci sono a Febbraio la Transgrancanaria http://www.transgrancanaria.net/en/ poi a Maggio il campionato del mondo di Penyagolosa http://penyagolosatrails.com e logicamente UTMB. Ma quest’anno non farò nessuna impresa in alta montagna tipo Aconcagua e Kilimangiaro perché devo ancora recuperare dopo questi due record. L’anno prossimo mi concentrerò sulle performance in gare di ultra-trail.
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Fernanda tu hai fatto delle imprese straordinarie nell’Ultra trail e in ambienti estremi, posso chiederti un paio di consigli per noi trail runners e in particolare per me che a Febbraio farò l’Iditarod http://iditarodtrailinvitational.com/ ?
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Dio mio! Non ho mai fatto niente di simile all’Iditarod in vita mia – dice ridendo.  Ma sulla base delle mie esperienze in ambienti estremi posso dirti di usare dell’ottimo materiale e di viaggiare leggero evitando di sovraccaricare il tuo bagaglio. Quando ho corso il Cammino di Santiago (900km circa in 10 giorni) mi sono portata dietro solo uno zaino di 2 chili e quando ho fatto la Marathon Des Sables avevo uno zaino di 7 chili. Ma soprattutto – come ultimo consiglio – cerca di rimanere sempre caldo e ben coperto.
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Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno dopo quando lei allenerà la community di Never Stop Milan https://it-it.facebook.com/NeverStopMilano/ gruppo che s’incontra tutti i martedì e in casi eccezionali come questo il giovedì. Conoscendo Fernanda so che quello sarà un allenamento molto molto tosto.