venerdì 28 luglio 2017

Ultra Marathon du Fallere (UMF) e Tour du Falllere (TMF): sabato 22 luglio 2017





CreditoFoto Joel Vierin e Alessandro Ghia

Non c’è dubbio: la prima edizione del Ultra Marathon du Fallere (UMF) http://www.rifugiomontfallere.it/wordpress/  è stato un successo e i numeri sono lì a testimoniarlo: 80 i partenti nella prima gara (la versione ultramarathon di 56km con 4600 metri di dislivello positivo) e 170 i trailers che si sono dati battaglia sui sentieri del TMF (34 km con 2200 metri di dislivello positivo). Atleti di rango internazionale sui podi di entrambe le distanze: Jules-Henri Gabioud e Sonia Locatelli su gradino più altro del podio della lunga e l’infaticabile Lisa Borzani e Mathieu Brunod (il figlio del grande Bruno) che invece si aggiudicano la 34km.

Io ho deciso di partecipare alla gara corta, ma la distanza relativamente breve non deve trarre in inganno. Come quasi tutti i trail valdostani anche questo percorso è bello tosto!

La partenza a Saint Oyen è molto bella: con i primi 4,5 km  praticamente in piano in mezzo ai boschi che permettono di riscaldare bene le gambe prima della salita che porta prima al rifugio Chaligne http://www.chaligne.com/   (km 13 circa, dove c’è anche un accogliente ristoro). Dal rifugio parte la seconda salita verso Pointe Chaligne (2.607m) da cui si può godere di un panorama unico e le foto che vi allego danno l’idea. Dalla croce posta alla sommità della vetta infatti si possono ammirare alcune tra le più importanti vette valdostane: il Grand Combin, il Rutor, il Cervino, il Monte Rosa e la piana su cui sorge Aosta. La salita è impegnativa ma non troppo e  dopo la Punta c’è una bella discesa che si può correre a velocità sostenuta. Un piacevole traverso in leggera salita porta verso lo spettacolare Lago du Fallere e dopo pochi chilometri si giunge al Rifugio del Mont Fallere http://www.rifugiomontfallere.it /, dove un abbondante ristoro accoglie i trailers. In effetti, l'idea del Tour du Fallere nasce anche per promuovere le bellezze paesaggistiche di questa parte della Valle d’Aosta. Con questo trail - mi ha detto l’organizzatore Patrick Sacchetto  - si vuole dare un maggior impulso al turismo di questa parte della Val d’Aosta e in particolar modo si vuole cercare di incrementare la visibilità del meraviglioso percorso del Tour du Mont Fallere (TMF) sentiero sempre segnato perfettamente e che può essere percorso da tutti.



Dal rifugio Fallere si ricomincia a salire verso il Colle del Vertosan e qui la salita si fa decisamente più impegnativa con un bellissimo approccio alla vetta tra le rocce che impegnano le già stanche gambe del trail runner. Scavallato il Vertosan iniziano i quasi 10 km di lunghissima discesa per ritornare a Saint Oyen dove si trova il traguardo. All’inizio la discesa sulle rocce è abbastanza ripida e richiede una particolare attenzione, poi si ammorbidisce piano piano fino all’ultimo ristoro dove inizia una ampia strada bianca che consentono ai runners di buttarsi a perdifiato verso il traguardo.


All’arrivo gli atleti vengono accolti dalla voce inconfondibile di Silvano Gadin lo speaker per antonomasia delle più importante gare in montagna dal Tor des Geans al Mezzalama. E mi aspetta un eccellente pasta party a basse di polenta integrale, verdure e jambon tutti eccellenti prodotti locali. Gara davvero bella, organizzata in modo esemplare non solo nella parte agonistica ma anche nel cosiddetto “terzo tempo” con i tralers felicemente riuniti in un bellissimo pratone a farsi fare massaggi, mangiare gelato a km 0 o semplicement ad attendere la tradizionale (per chi corre i trail valdostani)  estrazione a sorte di numerosissimi premi (io ho vinto la bellissima maglietta del Rifugio Mont Fallere!) Insomma per questo nuovo trail sia per il percorso UTMF sia per il percorso TMF posssiamo dire: buona la prima!!



mercoledì 19 luglio 2017

Sabato 15 luglio 2017, caffè al Bivacco Gervasutti









Obiettivo raggiunto. Altre 4 persone incontrate tra salita discesa e condivisione di un buon caffè al Bivacco!

Bivacco con equipaggiamento da sogno e tanto di Personal Computer. Purtroppo, non andava il wi-fi. Preparato un buon caffè con la moka e lasciato una busta di minestrone liofilizzato per chi avrebbe passato lì la notte.




lunedì 10 luglio 2017

Sabato 8 luglio: approccio al Bivacco Gervasutti



Piacevole salita in compagnia, interrotta anticipatamente per rischio maltempo








 

Mi sveglio di soprassalto, ho dormito molto ma molto più del previsto e rischio di arrivare tardi all’appuntamento per affrontare la salita a quello che si ritiene essere un esempio di tecnologia applicata alla montagna e di sguardo nel futuro: il Bivacco Gervasutti!

Gli zaini erano pronti, già dal weekend precedente, non per questa ma per quella che avrebbe dovuto essere una salita molto strutturata e sognata da tempo, anche da anni, ma il meteo ha deciso che la salita obiettivo dovrà essere ancora posticipata e contro il meteo non c’è discorso che tenga.






Dal fondo della Val Ferret, esattamente da Lavachey, si sale sparati direzione Gervasutti, beh diciamo che per qualche minuto le chiacchiere hanno preso il sopravvento e, una volta lasciata la strada che sale verso Arpnouva, siamo andati un po’ fuori rotta: cosa non difficile vista la scarsità di persone che transitano su quel percorso che è tutt’altro che marcato, ma non mal segnato.








Sentiero comunque netto con direzione inequivocabile, ma con vari passaggi dalla destra alla sinistra idrografica del torrente che scende dal ghiacciaio del Freboudze. Bellissima corda blu (canapone) installata di recente a creare il primo dei due tratti attrezzati. Si sale in agilità e con elevata sicurezza. Attraversamento di una lingua di ghiaccio che porta dopo lungo “sfasciume” al secondo tratto attrezzato subito prima del Bivacco.

Ma qui il cambio di meteo era ormai imminente e allora abbiamo deciso di tornare a Valle.






domenica 9 luglio 2017

In vista dell' Iditarod 2018 - ITI 130: intervista a Omar Mohamed Alí

Intervista a Omar Mohamed Alì Adventurer Ultra Runner , Outdoor Trainer, CrossFit Coach


E’ fantastico parlare con una persona che non hai mai incontrato prima e scoprire - nel corso della chiacchierata - di condividere le stesse passioni, esperienze, avventure e soprattutto lo stesso approccio verso “le imprese estreme”.  E’ stato proprio questo quello che mi è successo quando ho telefonato ad Omar, ex-professionista delle truppe Alpine con incarichi speciali, Ultra Runner Finisher all’UTMB, alla LUT, al Cro-Magnon nonché titolare di un Box Cross-Fit a Saronno. Mi sono messo in contatto con lui perché avevo letto un bell’articolo in cui raccontava la sua esperienza in Alaska. E così, preso il coraggio a quattro mani, ho cercato il suo contatto e l’ho chiamato.

Grazie ai racconti di un amico, Omar si è appassionato alla Yukon Ultrahttp://www.arcticultra.de/en/ e ha deciso di andare con lui alla versione di 300 miglia e che sono riusciti a completare con successo.  E’ nato così l’amore per il  “deserto bianco”. Quella strana passione per gli spazi infiniti – non importa se sono deserto, oceano o pianura di ghiaccio, dove lo sguardo si perde nell’orizzonte. Per poter attraversare questi luoghi così complessi e difficili è necessaria una preparazione metodica con la massima attenzione ai dettagli. E questo viene più facile se si è da sempre abituati ad affrontare gli eventi della vita con la stessa metodologia e devozione.

Vista la mia prossima partecipazione all’Iditarod Trail Invitational http://iditarodtrailinvitational.com/  ho chiesto ad Omar alcuni consigli e suggerimenti, considerando che lui - oltre ad aver concluso la Yukon - ha anche partecipato al'IditaSporthttps://iditasportalaska.com/ che si sviluppa praticamente sullo stesso tracciato dell’Iditarod. Siamo quindi subito passati a discutere i dettagli delle sue due avventure. E sono questi i dettagli che vorrei condividere, perché ritengo facciano parte del fascino di queste “Outdoor Adventures” che chiamare gare è oltremodo riduttivo.

                                                                                                                                  
La caratteristica di queste avventure nell’estremo nord è che si affrontano trainando una slitta, o pulka, o sled. La slitta contiene tutto il necessario per i giorni in cui si resta “confinati nell’ignoto”. Il peso della slitta oscilla tra i 22 e i 25 chili in relazione alla lunghezza e comprensivo del materiale essenziale alla sopravvivenza. Sulla slitta si carica solitamente un sacco impermeabile agganciato alla slitta stessa con dei moschettoni o con dei tiranti e reti elastiche. All’interno si posiziona: cibo, fornello per sciogliere la neve e scaldare il cibo,  thermos, ciaspole, ramponi, sacco a pelo, sacco da bivacco, materassino isolante e altri oggetti. Ma attenzione: qui non c’è materiale obbligatorio! Volete sopravvivere nel deserto di ghiaccio? Beh non aspettatevi che gli organizzatori vi diano consigli o suggerimenti. Il sito dell’Iditatod lo dice chiaramente: se avete bisogno di indicazioni su come sopravvivere a queste condizioni, allora forse siete nel posto sbagliato: ci sono altre gare più adatte a voi, non questa!

Omar ha usato un sacco da 120 litri agganciato con 4 moschettoni. Io invece alla Rovaniemi 150 https://www.rovaniemi150.com/  avevo un sacco da 80 litri, ma ugualmente ben assicurato con tre elastici colorati con ganci identici a quelli che usava mio papà per il portapacchi sul tetto della sua Fiat 124!! Ma Omar aveva anche una tenda minimalista, ignifuga, da 1,6kg e con due ingressi: uno per posizionarci il fornello stabilizzato da un pianale in legno, l’altro per entrata e uscita…alla mia osservazione di perché non un semplice sacco da bivacco, Omar ha risposto che la tenda dà più un’idea di casa, di rifugio sicuro. Ecco cosa mi piace di lui: cerca anche nelle condizioni più estreme di vivere in un modo autentico.
Come me Omar ha fatto tantissime Ultra Trail. Ma adesso ha deciso di indossare il pettorale solo in rare occasioni e dedicarsi di più all’avventura, alla scoperta. “vedi io adesso preferisco fare un altro tipo di esperienza. Preferisco trovare vie diverse d’accesso alle cime, trovare altri percorsi” mi dice e qui davvero mi riconosco nel suo percorso.


Torno a farmi e a fargli mille domande su questa impresa! Come hai fatto per l’acqua?
E il percorso di queste gare? Spesso non è tracciato, allora anche questo argomento andrà affrontato.
E se si elimina il cambio di abiti: come ci si veste per stare al freddo per due/quattro/dieci giorni?
Si corre o si cammina?
Che scarpe si usano?

Eh sì!! Mi accorgo ce n’è abbastanza per un secondo report.

sabato 1 luglio 2017

Weekend 1 e 2 luglio 2017 – salita alla Testa del Rutor, riuscita al secondo tentativo

Che emozione, arrivare in vetta e essere accolti dalla cordata che ti precede (del CAI di Marostica) con un "complimenti" e con una vigorosa stretta di mano

 


Dopo il tentativo del weekend precedente, quando a causa del brutto tempo si era dovuto deviare (con sempre grande soddisfazione)  dal Rifugio Deffeyes verso la più vicina la Becca Bianca, stavolta vetta Testa del Rutor raggiunta dal versante di Valgrisenche.



Salita di avvicinamento il sabato pomeriggio al Rifugio degli Angeli (Rifugio che destina tutto il ricavato dell’attività ai poveri del Mato Grosso! Bravi, davvero bravi!), gustosa cena e pernotto in camerata fino alla sveglia delle 4:45. Colazione alle 5 e alle 5:30 si esce.


 


A differenza degli altri, non calziamo i ramponi e non ci leghiamo, e procediamo comunque sicuri sul ghiacciaio con l’aiuto dei bastoncini. Siamo più veloci sui tratti di misto, ma prima della salita al Colle facciamo una sosta per indossare i ramponi e lasciamo sfilare le altre cordate. Il gruppo di sei persone che ci precede, lascia cadere un paio di scariche di sassi dalla pietraia in testa al canalino, ma la fortuna è dalla nostra parte.

Guadagnato il Colle, si procede per la lunga ma non esposta cresta fino alla Madonnina sulla Testa del Rutor.

 


Calda accoglienza e discesa veloce e con il sorriso, pausa al Rifugio degli Angeli per togliere caschi, imbraghi e sistemare gli zaini, poi giù lungo il sentiero fino al Land Rover a suo agio nel suo ambiente.